“Pasto libero: cos’è e cosa non deve più essere”

Molteplici domande che ricorrono spesso quando si intraprende un piano alimentare sono quelle che riguardano i cosiddetti “pasti liberi”: “Come devo comportarmi a cena fuori?” “E se invece che un pasto libero, fossero due o tre?” “Come posso evitare di vanificare gli sforzi fatti in settimana?”.

In effetti è normale chiedersi come conciliare il planning settimanale caratterizzato da piatti che sembrano così bilanciati ed equilibrati, con la nostra vita sociale. Sebbene il termine pasto “libero” non sia proprio una parola bellissima poiché rimanda quasi ad un gergo carcerario, è interessante analizzare gli effetti comuni che sortisce nella mente di chi si approccia ad una dieta, ma soprattutto, cosa non dovrebbe in alcun modo rappresentare.

Partiamo da un presupposto importante: non si dimagrisce più velocemente se un giorno si salta un pasto, così come allo stesso modo non si dimagrisce più lentamente se un giorno si mangia di più (e quel “mangiare di più” può essere qualunque cosa tu voglia). Ma allora perché è così difficile conciliarlo con lo standard delle nostre giornate alimentari?

Perché la frase “puoi fare un pasto libero una o due volta a settimana” può indirettamente convincerci di due cose sbagliate, pericolose, che sortiscono due effetti differenti:

  • Effetto conto alla rovescia: il pensare di potersi “concedere” cibo diverso solamente una volta a settimana, generalmente nel week – end, con il rischio di abbuffarsi.
  • Effetto dell’escluso: il credere che esistano dei cibi sani e dei cibi non sani, dei cibi giusti e dei cibi sbagliati, il sano che si contrappone allo sgarro.

Ecco, rifiutiamoci di farci assorbire da queste due tossiche sfaccettature. Stare a dieta o seguire un determinato regime alimentare non è semplice, occorre ammetterlo, è giusto rivedere un attimo la frequenza con cui si fanno aperitivi o cene/pranzi fuori, ma non è necessario privarsi di tutto. Allo stesso tempo una dieta deve portare ad un risultato, ma non deve essere causa di malessere o esclusione. Se lo fosse, nella migliore delle ipotesi la abbandoneremmo nel giro di poco, nella peggiore potrebbe influenzare negativamente il nostro rapporto con il cibo.

Il pasto libero non deve essere uno, può essere uno, come può essere più di uno. Non esiste nessun cibo “sano a prescindere da tutto” e nessun cibo “dannoso a prescindere da tutto”.

Più che parlare di pasto libero sarebbe importante distinguere il concetto di “eccezione” da quello di “quotidianità”. Curiamo la quotidianità, non le eccezioni! Se le eccezioni, senza definirle numericamente, rimangono modeste rispetto alle buone abitudini quotidiane, gli obiettivi verranno sicuramente raggiunti.

E se le eccezioni diventano troppe?

Se ci si accorge che durante il percorso nutrizionale le “eccezioni” sono state abbondanti, occorre porsi alcuni utili quesiti:

  • Ho intrapreso / sto seguendo un piano alimentare da un po’ ma ho passato un periodo più ricco del solito di pasti abbondanti / eventi?

E’ stato solo un periodo; ciclicamente risuccederà, la vita “capita”, non è standardizzabile, accettiamolo, riprendiamo le nostre abitudini senza pensarci troppo.

  • Non riesco / preferisco / sono costretta/o a scegliere alternative che, alla lunga, so non essere il meglio per me?

Parlane con il/la professionista che ti segue. Magari ci sono problemi con la comprensione del piano alimentare, difficoltà nell’organizzazione dei pasti, oppure si cela un quadro di fame emotiva che merita di essere approfondita.

Ogni situazione può avere delle soluzioni. La chiave per trovarle è indubbiamente evitare di cadere in atteggiamenti remissivi, compensatori o guidati dal senso di colpa. Dopo tutto…un tiramisù è solo un tiramisù!